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SCOPRENDO FORRESTER
(FINDING FORRESTER)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 4 aprile 2001
 
di Gus Van Sant, con Sean Connery, F. Murray Abraham, Robert Brown, Anna Paquin (Stati Uniti, 2001)
 
WILL HUNTING raccontava già la nascita di un genio. Un marginale della periferia a rischio di Boston addetto alla pulizia dei pavimenti del M.I.T., la massima università scientifica degli Stati Uniti; che, in un attimo, risolveva i problemi di matematica più difficili lasciati irrisolti sulle lavagne dagli studenti. Con SCOPRENDO FORRESTER, Gus Van Sant torna alla carica. Ritrovando, con indubbia facilità i temi di sempre: il rito dell'iniziazione, la trasmissione della conoscenza, l'inquietudine sul divenire del proprio sapere. E, ancora, la fatica dell'adolescente per inserirsi nel mondo degli adulti; nei condizionamenti di sempre, l'omosessualità di MY OWN PRIVATE IDAHO, la droga di DRUGSTORE COWBOY, l'arrivismo di TO DIE FOR. Qui, l'essere nero, aspirante scrittore e fenomeno di basket, a sedici anni nel Bronx. E formare una strana coppia con un mitico premio Pulitzer scomparso da allora nel nulla, barricato dietro la finestra di un appartamento a scrutare con il binocolo ciò che avviene di sotto. SCOPRENDO FORRESTER è un film solito ed insolito. Solito, perché percorre l'America che Hollywood si rigira da sempre: aiutati che lo zio Sam ti aiuta. Nel college, coi professori intuitivi o beceri modello L'ATTIMO FUGGENTE, in famiglia tra la mamma buona ed il fratello sfigato, allo stadio con l'allenatore ed i compagni di squadra. Ma pure insolito. Perché lo strano incontro è trattato con il mistero di un suspense; parole, frasi, pensieri invece che pallottole, cazzotti ed inseguimenti. Non capita di spesso. E Gus Van Sant filma con splendido distacco e disincantata leggerezza non soltanto l'ispirato Sean Connery. Ma il suo ragazzo (Rob Brown, lo rivedremo presto) che fa palleggiare al basket come fosse bagnato dalla grazia del dio degli stadi, oltre che da quello della macchina da scrivere. Michael Jordan e Remington o Underwood, insomma.

Visto con la luna di traverso, il film sembrerà anche buonista. Ma osservate con quanta saggezza il regista rallenti i ritmi per contemplarsi con tutta calma le reazioni dei suoi personaggi; e come indaghi nell'ambiente che sta loro attorno. Come scalpelli sui dialoghi arguti, puntuali e finalmente intelligenti. E avvolga il tutto in una fascinosa colonna musicale, da Judy Garland, al Rhythm and Blues, al Miles Davis elettronico di "Bitches Brew". Che stia battendo sui tasti della macchina da scrivere o martellando sul pallone che si porta immancabilmente appresso, l'eroe di Van Sant evolve di certo negli schemi del melodramma; ma lo sguardo del regista rimane lucido e pragmatico. Nulla di romantico e scontato; tutto da costruirsi a colpi di fatica e riflessione quotidiana. Che sia per romanzare, o per dribblare.


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